1. 2. 3.
1. Sandro Botticelli, Madonna dell'Eucarestia: particolare dell'angelo; Boston, Isabella Gardner Museum.
2. Donato Bramante, Eraclito e Democrito: particolare di Eraclito; Milano, Pinacoteca di Brera.
3. Leonardo da Vinci, Autoritratto (sanguigna); Torino, Biblioteca Reale.
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Di Leonardo da Vinci si ha una sola immagine certa: quella dell’Autoritratto a sanguigna conservato nella Biblioteca Reale di Torino (1), giudicato dalla critica concordemente autografo e riferito agli anni verso il 1512-15; il volto del grande artista, allora circa sessantenne, vi appare precocemente invecchiato: stempiato, la fronte rugosa, le sopracciglia cispose e le borse sotto gli occhi, la lunga barba fluente. È un ritratto nondimeno simile a quello, maestoso e certo meno naturale, che solo un paio d’anni prima Raffaello aveva dipinto nel Platone al centro de La scuola d’Atene (1509-10), l’affresco nella Stanza della Segnatura in Vaticano (2): per rendere il filosofo del Fedro e del Fedone il maestro urbinate si era infatti ispirato proprio alla figura di Leonardo (3).
Altre immagini dove la critica ha creduto di ravvisare il suo ritratto sono il volto dell’arcangelo in armatura nel Tobia e tre arcangeli attribuito ad un allievo del Verrocchio, Francesco Botticini (1446-97), dipinto verso il 1470 e conservato agli Uffizi (4); il David in bronzo dello stesso Verrocchio sempre a Firenze, al Museo Nazionale del Bargello, e all’incirca coevo (5); e la prima figura a destra di chi guarda nell’incompiuta Adorazione dei Magi di Leonardo agli Uffizi (ca. 1481-82) (6); tre opere che risalgono alla giovinezza dell’artista, e che offrono scarsi riscontri somatici con l’Autoritratto conservato a Torino, cioè con l’unico riferimento certo su cui basarsi.
Al suo volto nella vecchiaia sono state variamente collegate almeno nove altre immagini. Due schizzi a penna di Leonardo: un Busto di vecchio al Fodor Museum di Amsterdam (7), e un Vecchio seduto nella Biblioteca Reale del castello di Windsor (8). Un disegno di Michelangelo (Saggio che consulta una sfera) oggi a Londra al British Museum (9), databile al 1503. La figura di re David ne la Disputa del Sacramento (1509) (10), l’affresco di Raffaello che fronteggia la Scuola d’Atene nella Stanza della Segnatura. Un disegno col profilo dell’artista, non autografo, conservato all’Accademia Ambrosiana di Milano (11): da cui derivano l’effige in ovale pubblicata dal Vasari nella seconda edizione de Le Vite (Firenze, 1568) e altre successive silografie, nonché una tavola del tardo Cinquecento conservata nei depositi degli Uffizi. Una figura dalla lunga barba nello Sposalizio della Vergine, affresco (ca. 1525) di Bernardino Luini nel Santuario di Saronno (12). Un rilievo marmoreo di maestro lombardo del Cinquecento, conservato a Milano al Castello Sforzesco (13). Una terracotta di scuola toscana cinquecentesca (14), già in deposito al Castello Sforzesco dalla collezione Aharon di New York, che dal suddetto rilievo è forse stata ispirata. E un ritratto al centro della Resurrezione di Lazzaro, vetrata istoriata nel 1520 da Guglielmo da Marcillat nel Duomo di Arezzo (15).
Ora, i vecchi dei due disegni leonardeschi sono troppo generici per meritare qualche credito (quello di Amsterdam è quasi certamente uno studio per la figura di S. Pietro nel Cenacolo, quello di Windsor è riferibile agli ultimi anni dell’artista), così come il Saggio del disegno michelangiolesco, il re David della Disputa di Raffaello e il personaggio della vetrata del Marcillat; mentre la figura dipinta dal Luini a Saronno deriva senza dubbio dal Platone della Scuola d’Atene: se si tratta di un’effigie di Leonardo, dunque, è comunque un ricalco di quella di Raffaello anteriore d’una quindicina d’anni, con l’unica aggiunta della berretta scura. Questo copricapo è presente anche nel personaggio della Resurrezione di Lazzaro del Marcillat, e risulta con qualche variante pure nella nota tavola agli Uffizi (17) che per molto tempo fu reputata un autoritratto leonardesco, finché nel 1938 una radiografia non ne accertò l’origine assai posteriore; la berretta visibile nel rilievo marmoreo al Castello Sforzesco è di foggia diversa, e così quella raffigurata nell’ovale vasariano e in successive silografie, peraltro non presente nel disegno dell’Ambrosiana dalla quale deriva. Di tutte queste immagini, tuttavia, solo il Platone raffaellesco della Scuola d’Atene e il disegno della Pinacoteca Ambrosiana mostrano un’affinità non generica con l’Autoritratto a sanguigna della Biblioteca Reale di Torino.
Ma è presente anche un’effigie del Leonardo della maturità: l’Eraclito dell’Eraclito e Democrito dipinto da Donato Bramante negli affreschi sull’Allegoria dello Stato Perfetto in Casa Gasparo Ambrogio Visconti (poi Panigarola; oggi scomparsa) in via Lanzone a Milano, e conservati dal 1901 nella Pinacoteca di Brera (18). Il ritratto, identificato da Carlo Pedretti (18), trova la critica discorde sulla datazione: per alcuni è riferibile al 1486-87, per altri è da ascrivere agli anni 1491-94; riguarda in ogni caso un periodo in cui Leonardo si trovava tra i trentuno e i quarantadue anni. La raffigurazione dei due filosofi è antitetica: mentre il fondatore dell’atomismo Democrito (autoritratto del Bramante) è sorridente, piange Eraclito, il pessimistico pensatore del «vivere secondo ragione»; a dispetto delle lacrime, però, il suo volto dalla bocca convessa è aperto e quasi gioviale, tanto da far piuttosto pensare a una finzione (singolare è questa rappresentazione dell’artista prima come Eraclito poi come Platone; e non si può escludere che l’idea di ritrarre Leonardo nella Scuola di Atene sia stata suggerita a Raffaello proprio dall’amico Bramante, che nel frattempo aveva lasciato i pennelli per dedicarsi solo all’architettura). I tratti del volto sono piuttosto vicini a quelli dell’Autoritratto a sanguigna: le affinità riguardano soprattutto l’attacco della fronte e il disegno delle cavità orbitali, il naso, le pieghe e il taglio della bocca, quantunque diversamente atteggiata; sul capo, in luogo della berretta la figura mostra una sorta di piccolo turbante verde, che le in-curie del tempo hanno semicancellato.
Con ogni probabilità, il ritratto bramantesco è la più attendibile immagine di Leonardo dopo quella dell’Autoritratto. A rafforzare il riscontro dei parametri anatomici vi sono almeno due particolari: anzitutto, il fatto che il restauro (1976) abbia dimostrato come la testa sia stata eseguita quasi alla fine, e in un’unica giornata di lavoro: ciò che si conviene a un ritratto, il quale rispetto al ‘carattere’ richiede l’attenzione della rispondenza fisiognomica (19); inoltre, i libri posti davanti alle due figure mostrano un accenno di scrittura rovesciata: caratteristica, come si sa, dei manoscritti leonardeschi (20).
È singolare l’affinità con questa figura che mostra nei tratti un angelo dipinto dal Botticelli nei suoi anni giovanili. Maggiore di sette anni del Vinci, Sandro Filipepi detto Botticelli aveva appreso i rudimenti dell’arte nella bottega di fra’ Filippo Lippi, negli anni tra il 1464 e il ’67; tra quest’ultima data e il 1469, la critica suppone con forti congetture che il maestro fiorentino abbia lavorato a bottega a fianco del Verrocchio, come allievo e collaboratore o come socio. È in quest’occasione che Botticelli conobbe Leonardo, che verso il 1469 fu messo a bottega proprio dal Verrocchio e vi rimase con certezza almeno fino al ’76, benché fin dal ’72 risulti iscritto alla Compagnia di San Luca, la società dei pittori fiorentini. Nel ’70 Botticelli aveva bottega propria, ma i rapporti col Verrocchio e la sua cerchia d’artisti e artigiani si protrassero almeno fino al 1475: come prova, proprio in quest’anno, la commissione legata alla giostra in S. Croce vinta da Giuliano de’ Medici; per il quale egli dipinse uno stendardo e il Verrocchio coi suoi aiuti realizzò un altro stendardo. Di più: secondo il parere di Carlo Ludovico Ragghianti (21), il famoso Battesimo di Cristo agli Uffizi (22), unica opera pittorica tradizionalmente attribuita al Verrocchio, che il poliedrico maestro avrebbe dipinto verso il 1470 o poco dopo con la collaborazione della bottega, andrebbe invece ascritta a Leonardo e altri suoi allievi, nonché al Botticelli.
Nella botticelliana Madonna col Bambino e un angelo, più nota come Madonna dell’Eucarestia (23), conservata nell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, la figura, a sinistra di chi guarda, dell’angelo intento a porgere alla Vergine e a Gesù un vassoio colmo di grano ed uva, è senza dubbio un ritratto del giovane Leonardo. Dell’avvenenza fisica di Leonardo riferisce il Vasari nella Vita dello stesso artista, scrivendo di lui che «oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione» (24); allora nelle botteghe d’arte era pratica comune utilizzare come modelli per figure angeliche i garzoni e gli aiuti più giovani e aggraziati: nulla di che stupire dunque, se il giovane allievo del Verrocchio si prestò da modello per il meno giovane e già avviato collega Botticelli. La critica data il dipinto negli anni tra il 1470 e il ’75; i termini ante e post quem si traducono per Leonardo in un’età tra i diciotto e i ventitré anni: quale, cioè, si può ascrivere alla figura, che è in tutta evidenza non una testa di ‘carattere’ bensì un ritratto; a provarlo, basta il realismo delle pieghe della guancia e l’appena accennata fossetta del mento: particolari anatomici che si ritrovano pari pari nella figura dell’Eraclito bramantesco, che ha la stessa forma del mento e una capigliatura non dissimile; ma l’angelo botticelliano ha un affinità evidente anche con l’Autoritratto leonardesco: si confrontino il disegno della borsa sotto l’occhio destro, il naso e il taglio della bocca e si osserverà come - a dispetto dell’età ben diversa dei visi - siano gli stessi.
Ritroviamo fattezze assai simili anche in altre tavole del Botticelli, coeve o successive: ma non più come ritratto, bensì come ‘carattere’ o ‘maniera’. Per esempio, nel S. Giovannino della Madonna col Bambino e S. Giovannino (Madonna del roseto) (25) al Louvre, ascrivibile agli anni 1471-72 pur nell’evidenza di motivi lippeschi: dove peraltro, quale compagno dell’infante Gesù, la figura appare notevolmente più giovane, quella di un bambino. Nella Madonna col Bambino e otto angeli (26) conservata nello Staatliche Museum di Berlino e conosciuta anche come Tondo Raczinsky, riferibile agli anni attorno al 1475, la fisionomia del quinto angelo - per chi guarda, il primo a destra della Vergine - presenta molte affinità con quello della Madonna dell’Eucarestia: visto di fronte, col capo inclinato verso sinistra e gli occhi socchiusi, ha quasi lo stesso atteggiamento. E si vedano ancora tre dipinti tutti agli Uffizi come la Madonna del Magnificat (1481) (27), la Madonna della melagrana (ca. 1487) (28) e la tavola centrale della Pala di S. Barnaba (ca. 1488-90) (29): nel primo, si colgono i lineamenti nell’angelo dalla veste rossa inclinato su altri due angeli per osservare il libro sacro; nel secondo, nell’angelo che regge un giglio subito a sinistra di chi guarda; nel terzo, nell’angelo che a destra della Madonna regge la corona di spine. Non può sfuggire la differenza tra questi aggraziati volti di maniera e il viso assorto e compenetrato dell’angelo dell’Eucarestia, la cui espressione denota genuina compartecipazione alla scena, e anche in senso spirituale è vicina all’intimo sentire leonardesco, tanto da potersi dire la figura botticelliana più affine alle creazioni del maestro della Vergine delle rocce.
Il ritratto della Madonna dell’Eucarestia richiama il discorso sul Battesimo di Cristo: cioè sull’opera che passa ancora per creazione del Verrocchio, benché la critica l’abbia attribuita più ad allievi della sua bottega come, oltre a Leonardo, Domenico di Michelino e Francesco Botticini, nonché al Botticelli stesso; mentre, come s’è detto, per il Ragghianti il pittore de La nascita di Venere ne sarebbe l’autore determinante. Perché il famoso angelo di profilo che una tradizione - avviata nel 1510 da Francesco Albertini (30) e ripresa poi dal Vasari (31) - vuole opera dell’esordiente Leonardo, mostra discrete affinità somatiche con quello della tavola botticelliana: nel disegno del naso, della bocca e del mento. Pur concedendo qualche idealizzazione, non deve sorprendere il fatto che il giovane artista abbia potuto raffigurarsi in quest’importante tavola destinata alla chiesa di San Salvi: se egli si prestò a posare per il Botticelli, perché non avrebbe dovuto fare da modello a se stesso?
Accertato il legame iconografico che lega le due tavole, resta il problema di situarle cronologicamente verificando le loro datazioni, in assenza di documenti che possano fornire ulteriori ragguagli. A nostro parere, Il battesimo di Cristo fu portato a termine entro il 1470, ed è in ogni caso difficilmente situabile dopo il ’72: la centralità dell’impianto si richiama con piena evidenza alla lezione del Ghiberti nella formella del Battistero di Siena (1427) (32), più ancora che a quella di Piero della Francesca nella tavola (ca. 1448-50) ora alla National Gallery di Londra, ma già in Borgo San Sepolcro (33). La Madonna del Botticelli è posteriore, ma non di molto; gli anni tra il 1470 e il ’72 sembrano in effetti i più probabili per un’opera che, di là dai suoi pregi artistici, è interessante perché rinnova la simbologia del mistero eucaristico: l’uva e il grano quali riferimenti al vino e al pane, in luogo della tradizionale melagrana che allude alla castità della Vergine e insieme alla resurrezione di Cristo, del resto ancora proposta - s’è visto - dallo stesso Botticelli attorno all’87. La presenza della porta e l’assenza di soffitto, che orientano al superamento dello spazio in cui si svolge la scena verso il paesaggio di sfondo, e l’angelo ritratto ma non idealizzato, confermano un cauto intento naturalistico: la volontà di conferire alla raffigurazione sacra una dimensione di corporeità, conciliandola con l’elemento profano.
Queste connotazioni sono forse tra i primi segni dell’influsso operato a Firenze anche nell’àmbito delle arti figurative dal pensiero di Marsilio Ficino e dell’Accademia Platonica (1459): il sincretismo platonico-cristiano proposto dal Ficino e diffuso dalla cerchia medicea che ne era copromotrice ebbe larga fortuna e colpì profondamente il Botticelli, che l’ebbe ben presente quando pochi anni dopo dipinse le sue grandi allegorie pagane (Allegoria della Primavera, Pallade che doma il centauro, Venere e Marte, La nascita di Venere). D’altronde, di un ignoto modello femminile anch’esso indubbiamente ripreso dal vero l’artista seppe fare ora la dea dell’amore (nel Venere e Marte) ed ora la mistica sposa di Cristo (la S. Caterina d’Alessandria nella Pala S. Barnaba).
Torniamo però all’angelo della botticelliana Madonna dell’Eucarestia. Se disponiamo in successione la sua immagine, quella di Eraclito dell’Eraclito e Democrito di Bramante e quella dell’Autoritratto leonardesco, abbiamo con impressionante evidenza la sequenza del volto di Leonardo nella giovinezza, nella maturità e nella vecchiaia, quasi come all’impossibile riscontro di altrettante foto tessera. I tratti ad un tempo dolci e marcati del maestro della Monna Lisa ci fanno pensare a un suo detto o «proverbio» che recita: «Acquista cosa nella tua gioventù che ristori il danno della tua vecchiezza, overo che trastulli la tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoperati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento» (34).
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Altre immagini dove la critica ha creduto di ravvisare il suo ritratto sono il volto dell’arcangelo in armatura nel Tobia e tre arcangeli attribuito ad un allievo del Verrocchio, Francesco Botticini (1446-97), dipinto verso il 1470 e conservato agli Uffizi (4); il David in bronzo dello stesso Verrocchio sempre a Firenze, al Museo Nazionale del Bargello, e all’incirca coevo (5); e la prima figura a destra di chi guarda nell’incompiuta Adorazione dei Magi di Leonardo agli Uffizi (ca. 1481-82) (6); tre opere che risalgono alla giovinezza dell’artista, e che offrono scarsi riscontri somatici con l’Autoritratto conservato a Torino, cioè con l’unico riferimento certo su cui basarsi.
Al suo volto nella vecchiaia sono state variamente collegate almeno nove altre immagini. Due schizzi a penna di Leonardo: un Busto di vecchio al Fodor Museum di Amsterdam (7), e un Vecchio seduto nella Biblioteca Reale del castello di Windsor (8). Un disegno di Michelangelo (Saggio che consulta una sfera) oggi a Londra al British Museum (9), databile al 1503. La figura di re David ne la Disputa del Sacramento (1509) (10), l’affresco di Raffaello che fronteggia la Scuola d’Atene nella Stanza della Segnatura. Un disegno col profilo dell’artista, non autografo, conservato all’Accademia Ambrosiana di Milano (11): da cui derivano l’effige in ovale pubblicata dal Vasari nella seconda edizione de Le Vite (Firenze, 1568) e altre successive silografie, nonché una tavola del tardo Cinquecento conservata nei depositi degli Uffizi. Una figura dalla lunga barba nello Sposalizio della Vergine, affresco (ca. 1525) di Bernardino Luini nel Santuario di Saronno (12). Un rilievo marmoreo di maestro lombardo del Cinquecento, conservato a Milano al Castello Sforzesco (13). Una terracotta di scuola toscana cinquecentesca (14), già in deposito al Castello Sforzesco dalla collezione Aharon di New York, che dal suddetto rilievo è forse stata ispirata. E un ritratto al centro della Resurrezione di Lazzaro, vetrata istoriata nel 1520 da Guglielmo da Marcillat nel Duomo di Arezzo (15).
Ora, i vecchi dei due disegni leonardeschi sono troppo generici per meritare qualche credito (quello di Amsterdam è quasi certamente uno studio per la figura di S. Pietro nel Cenacolo, quello di Windsor è riferibile agli ultimi anni dell’artista), così come il Saggio del disegno michelangiolesco, il re David della Disputa di Raffaello e il personaggio della vetrata del Marcillat; mentre la figura dipinta dal Luini a Saronno deriva senza dubbio dal Platone della Scuola d’Atene: se si tratta di un’effigie di Leonardo, dunque, è comunque un ricalco di quella di Raffaello anteriore d’una quindicina d’anni, con l’unica aggiunta della berretta scura. Questo copricapo è presente anche nel personaggio della Resurrezione di Lazzaro del Marcillat, e risulta con qualche variante pure nella nota tavola agli Uffizi (17) che per molto tempo fu reputata un autoritratto leonardesco, finché nel 1938 una radiografia non ne accertò l’origine assai posteriore; la berretta visibile nel rilievo marmoreo al Castello Sforzesco è di foggia diversa, e così quella raffigurata nell’ovale vasariano e in successive silografie, peraltro non presente nel disegno dell’Ambrosiana dalla quale deriva. Di tutte queste immagini, tuttavia, solo il Platone raffaellesco della Scuola d’Atene e il disegno della Pinacoteca Ambrosiana mostrano un’affinità non generica con l’Autoritratto a sanguigna della Biblioteca Reale di Torino.
Ma è presente anche un’effigie del Leonardo della maturità: l’Eraclito dell’Eraclito e Democrito dipinto da Donato Bramante negli affreschi sull’Allegoria dello Stato Perfetto in Casa Gasparo Ambrogio Visconti (poi Panigarola; oggi scomparsa) in via Lanzone a Milano, e conservati dal 1901 nella Pinacoteca di Brera (18). Il ritratto, identificato da Carlo Pedretti (18), trova la critica discorde sulla datazione: per alcuni è riferibile al 1486-87, per altri è da ascrivere agli anni 1491-94; riguarda in ogni caso un periodo in cui Leonardo si trovava tra i trentuno e i quarantadue anni. La raffigurazione dei due filosofi è antitetica: mentre il fondatore dell’atomismo Democrito (autoritratto del Bramante) è sorridente, piange Eraclito, il pessimistico pensatore del «vivere secondo ragione»; a dispetto delle lacrime, però, il suo volto dalla bocca convessa è aperto e quasi gioviale, tanto da far piuttosto pensare a una finzione (singolare è questa rappresentazione dell’artista prima come Eraclito poi come Platone; e non si può escludere che l’idea di ritrarre Leonardo nella Scuola di Atene sia stata suggerita a Raffaello proprio dall’amico Bramante, che nel frattempo aveva lasciato i pennelli per dedicarsi solo all’architettura). I tratti del volto sono piuttosto vicini a quelli dell’Autoritratto a sanguigna: le affinità riguardano soprattutto l’attacco della fronte e il disegno delle cavità orbitali, il naso, le pieghe e il taglio della bocca, quantunque diversamente atteggiata; sul capo, in luogo della berretta la figura mostra una sorta di piccolo turbante verde, che le in-curie del tempo hanno semicancellato.
Con ogni probabilità, il ritratto bramantesco è la più attendibile immagine di Leonardo dopo quella dell’Autoritratto. A rafforzare il riscontro dei parametri anatomici vi sono almeno due particolari: anzitutto, il fatto che il restauro (1976) abbia dimostrato come la testa sia stata eseguita quasi alla fine, e in un’unica giornata di lavoro: ciò che si conviene a un ritratto, il quale rispetto al ‘carattere’ richiede l’attenzione della rispondenza fisiognomica (19); inoltre, i libri posti davanti alle due figure mostrano un accenno di scrittura rovesciata: caratteristica, come si sa, dei manoscritti leonardeschi (20).
È singolare l’affinità con questa figura che mostra nei tratti un angelo dipinto dal Botticelli nei suoi anni giovanili. Maggiore di sette anni del Vinci, Sandro Filipepi detto Botticelli aveva appreso i rudimenti dell’arte nella bottega di fra’ Filippo Lippi, negli anni tra il 1464 e il ’67; tra quest’ultima data e il 1469, la critica suppone con forti congetture che il maestro fiorentino abbia lavorato a bottega a fianco del Verrocchio, come allievo e collaboratore o come socio. È in quest’occasione che Botticelli conobbe Leonardo, che verso il 1469 fu messo a bottega proprio dal Verrocchio e vi rimase con certezza almeno fino al ’76, benché fin dal ’72 risulti iscritto alla Compagnia di San Luca, la società dei pittori fiorentini. Nel ’70 Botticelli aveva bottega propria, ma i rapporti col Verrocchio e la sua cerchia d’artisti e artigiani si protrassero almeno fino al 1475: come prova, proprio in quest’anno, la commissione legata alla giostra in S. Croce vinta da Giuliano de’ Medici; per il quale egli dipinse uno stendardo e il Verrocchio coi suoi aiuti realizzò un altro stendardo. Di più: secondo il parere di Carlo Ludovico Ragghianti (21), il famoso Battesimo di Cristo agli Uffizi (22), unica opera pittorica tradizionalmente attribuita al Verrocchio, che il poliedrico maestro avrebbe dipinto verso il 1470 o poco dopo con la collaborazione della bottega, andrebbe invece ascritta a Leonardo e altri suoi allievi, nonché al Botticelli.
Nella botticelliana Madonna col Bambino e un angelo, più nota come Madonna dell’Eucarestia (23), conservata nell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, la figura, a sinistra di chi guarda, dell’angelo intento a porgere alla Vergine e a Gesù un vassoio colmo di grano ed uva, è senza dubbio un ritratto del giovane Leonardo. Dell’avvenenza fisica di Leonardo riferisce il Vasari nella Vita dello stesso artista, scrivendo di lui che «oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione» (24); allora nelle botteghe d’arte era pratica comune utilizzare come modelli per figure angeliche i garzoni e gli aiuti più giovani e aggraziati: nulla di che stupire dunque, se il giovane allievo del Verrocchio si prestò da modello per il meno giovane e già avviato collega Botticelli. La critica data il dipinto negli anni tra il 1470 e il ’75; i termini ante e post quem si traducono per Leonardo in un’età tra i diciotto e i ventitré anni: quale, cioè, si può ascrivere alla figura, che è in tutta evidenza non una testa di ‘carattere’ bensì un ritratto; a provarlo, basta il realismo delle pieghe della guancia e l’appena accennata fossetta del mento: particolari anatomici che si ritrovano pari pari nella figura dell’Eraclito bramantesco, che ha la stessa forma del mento e una capigliatura non dissimile; ma l’angelo botticelliano ha un affinità evidente anche con l’Autoritratto leonardesco: si confrontino il disegno della borsa sotto l’occhio destro, il naso e il taglio della bocca e si osserverà come - a dispetto dell’età ben diversa dei visi - siano gli stessi.
Ritroviamo fattezze assai simili anche in altre tavole del Botticelli, coeve o successive: ma non più come ritratto, bensì come ‘carattere’ o ‘maniera’. Per esempio, nel S. Giovannino della Madonna col Bambino e S. Giovannino (Madonna del roseto) (25) al Louvre, ascrivibile agli anni 1471-72 pur nell’evidenza di motivi lippeschi: dove peraltro, quale compagno dell’infante Gesù, la figura appare notevolmente più giovane, quella di un bambino. Nella Madonna col Bambino e otto angeli (26) conservata nello Staatliche Museum di Berlino e conosciuta anche come Tondo Raczinsky, riferibile agli anni attorno al 1475, la fisionomia del quinto angelo - per chi guarda, il primo a destra della Vergine - presenta molte affinità con quello della Madonna dell’Eucarestia: visto di fronte, col capo inclinato verso sinistra e gli occhi socchiusi, ha quasi lo stesso atteggiamento. E si vedano ancora tre dipinti tutti agli Uffizi come la Madonna del Magnificat (1481) (27), la Madonna della melagrana (ca. 1487) (28) e la tavola centrale della Pala di S. Barnaba (ca. 1488-90) (29): nel primo, si colgono i lineamenti nell’angelo dalla veste rossa inclinato su altri due angeli per osservare il libro sacro; nel secondo, nell’angelo che regge un giglio subito a sinistra di chi guarda; nel terzo, nell’angelo che a destra della Madonna regge la corona di spine. Non può sfuggire la differenza tra questi aggraziati volti di maniera e il viso assorto e compenetrato dell’angelo dell’Eucarestia, la cui espressione denota genuina compartecipazione alla scena, e anche in senso spirituale è vicina all’intimo sentire leonardesco, tanto da potersi dire la figura botticelliana più affine alle creazioni del maestro della Vergine delle rocce.
Il ritratto della Madonna dell’Eucarestia richiama il discorso sul Battesimo di Cristo: cioè sull’opera che passa ancora per creazione del Verrocchio, benché la critica l’abbia attribuita più ad allievi della sua bottega come, oltre a Leonardo, Domenico di Michelino e Francesco Botticini, nonché al Botticelli stesso; mentre, come s’è detto, per il Ragghianti il pittore de La nascita di Venere ne sarebbe l’autore determinante. Perché il famoso angelo di profilo che una tradizione - avviata nel 1510 da Francesco Albertini (30) e ripresa poi dal Vasari (31) - vuole opera dell’esordiente Leonardo, mostra discrete affinità somatiche con quello della tavola botticelliana: nel disegno del naso, della bocca e del mento. Pur concedendo qualche idealizzazione, non deve sorprendere il fatto che il giovane artista abbia potuto raffigurarsi in quest’importante tavola destinata alla chiesa di San Salvi: se egli si prestò a posare per il Botticelli, perché non avrebbe dovuto fare da modello a se stesso?
Accertato il legame iconografico che lega le due tavole, resta il problema di situarle cronologicamente verificando le loro datazioni, in assenza di documenti che possano fornire ulteriori ragguagli. A nostro parere, Il battesimo di Cristo fu portato a termine entro il 1470, ed è in ogni caso difficilmente situabile dopo il ’72: la centralità dell’impianto si richiama con piena evidenza alla lezione del Ghiberti nella formella del Battistero di Siena (1427) (32), più ancora che a quella di Piero della Francesca nella tavola (ca. 1448-50) ora alla National Gallery di Londra, ma già in Borgo San Sepolcro (33). La Madonna del Botticelli è posteriore, ma non di molto; gli anni tra il 1470 e il ’72 sembrano in effetti i più probabili per un’opera che, di là dai suoi pregi artistici, è interessante perché rinnova la simbologia del mistero eucaristico: l’uva e il grano quali riferimenti al vino e al pane, in luogo della tradizionale melagrana che allude alla castità della Vergine e insieme alla resurrezione di Cristo, del resto ancora proposta - s’è visto - dallo stesso Botticelli attorno all’87. La presenza della porta e l’assenza di soffitto, che orientano al superamento dello spazio in cui si svolge la scena verso il paesaggio di sfondo, e l’angelo ritratto ma non idealizzato, confermano un cauto intento naturalistico: la volontà di conferire alla raffigurazione sacra una dimensione di corporeità, conciliandola con l’elemento profano.
Queste connotazioni sono forse tra i primi segni dell’influsso operato a Firenze anche nell’àmbito delle arti figurative dal pensiero di Marsilio Ficino e dell’Accademia Platonica (1459): il sincretismo platonico-cristiano proposto dal Ficino e diffuso dalla cerchia medicea che ne era copromotrice ebbe larga fortuna e colpì profondamente il Botticelli, che l’ebbe ben presente quando pochi anni dopo dipinse le sue grandi allegorie pagane (Allegoria della Primavera, Pallade che doma il centauro, Venere e Marte, La nascita di Venere). D’altronde, di un ignoto modello femminile anch’esso indubbiamente ripreso dal vero l’artista seppe fare ora la dea dell’amore (nel Venere e Marte) ed ora la mistica sposa di Cristo (la S. Caterina d’Alessandria nella Pala S. Barnaba).
Torniamo però all’angelo della botticelliana Madonna dell’Eucarestia. Se disponiamo in successione la sua immagine, quella di Eraclito dell’Eraclito e Democrito di Bramante e quella dell’Autoritratto leonardesco, abbiamo con impressionante evidenza la sequenza del volto di Leonardo nella giovinezza, nella maturità e nella vecchiaia, quasi come all’impossibile riscontro di altrettante foto tessera. I tratti ad un tempo dolci e marcati del maestro della Monna Lisa ci fanno pensare a un suo detto o «proverbio» che recita: «Acquista cosa nella tua gioventù che ristori il danno della tua vecchiezza, overo che trastulli la tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoperati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento» (34).
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NOTE
(1) Leonardo da Vinci, Autoritratto (sanguigna su carta, cm. 33,3x21,3; Torino, Biblioteca Reale, Inv. n° 15741).
(2) Raffaello Sanzio, La scuola d’Atene (affresco, base cm. 770); Città del Vaticano, Stanza della Segnatura.
(3) L’ipotesi che a suggerire l’idea sia stato il filosofo Baldassarre Turini da Pescia, conoscitore d’arte e persona di fiducia del pontefice Leone X, non trova però conferma negli scritti di Raffaello: cfr. RAFFAELLO SANZIO, Tutti gli scritti (a cura di E. Camesasca con la collaborazione di G. M. Piazza); Milano, Rizzoli, 1994.
(4) Francesco Botticini (attr.), Tobia e tre arcangeli (tempera su tavola, cm. 135x154); Firenze, Galleria degli Uffizi.
(5) Andrea Verrocchio, David (bronzo, altezza cm. 126); Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
(6) Leonardo da Vinci, L’adorazione dei Magi (giallolino e bistro su tavola, cm. 246x243); Firenze, Galleria degli Uffizi.
(7) Leonardo da Vinci, Busto di vecchio (penna su carta, cm. 10x9,5). Amsterdam, Fodor Museum, n° 027.
(8) Leonardo da Vinci, Vecchio seduto (penna e inchiostro su carta, misure non pervenute). Windsor Castle, Royal Library.
(9) Michelangelo Buonarroti, Filosofo, o Saggio che consulta una sfera (inchiostro su carta, cm. 34x23). Londra, British Museum.
(10) Raffaello Sanzio, La disputa del Sacramento (affresco, base cm. 770); Città del Vaticano, Stanza della Segnatura.
(11) Anonimo del sec. XVI, Ritratto di Leonardo da Vinci (sanguigna su carta, cm. 31,7x23,7). Milano, Pinacoteca Ambrosiana, F 263 inf. 1 bis.
(12) Bernardino Luini, Lo sposalizio della Vergine (affresco). Saronno, Santuario della Beata Vergine dei Miracoli.
(13) Maestro lombardo del XV secolo, Busto (supposto di Aristotele) (rilievo marmoreo, dimensioni e ubicazione sconosciuta). Venne erroneamente indicato al Castello Sforzesco nella monografia Leonardo da Vinci dei Classici dell’Arte Rizzoli (1966, p. 86, a cura di Angela Ottino Della Chiesa): dove invece si trova un busto molto simile, del XVI secolo (alto cm. 0, 45 largo 0,25) ora in deposito alla Vigilanza Urbana in via Beccaria.
(14) Scuola toscana del XV secolo, Busto maschile (terracotta, dimensioni sconosciute). Milano, Castello Sforzesco; attualmente in deposito (via Rubattino).
(15) Guillaume de Marcillat, La resurrezione di Lazzaro (vetrata istoriata). Arezzo, Duomo.
(16) Presunto autoritratto di Leonardo (olio su tavola, cm. 73x58); Firenze, Galleria degli Uffizi (Depositi, Inv. 1890, n° 1717).
(17) Donato Bramante, Eraclito e Democrito (affresco trasportato su tela, cm. 102x127); Milano, Pinacoteca di Brera.
(18) CARLO PEDRETTI, The Sforza Sepulchre; in “Gazette des Beaux-Arts”, Paris, anno 119°, fascicolo 1299, aprile 1977, pp. 121-131.
(19) STELLA MATALON, Restauro e tecnica pittorica (con Pinin Brambilla Barcilon); in “Quaderni di Brera”, 1977, n° 3, Donato Bramante - Gli uomini d’arme (contributi di Germano Mulazzani, Marisa Dalai Emiliani, Stella Matalon, Pinin Brambilla Barcilon, Antonella Gallone); pp. 20-24.
(20) CARLO PEDRETTI, op. cit., pp. 124-125.
(21) Andrea Verrocchio e aiuti, Il battesimo di Cristo (tempera e olio su tavola, cm. 177x151); Firenze, Galleria degli Uffizi, n° 8358.
(22) CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI, Inizio di Leonardo; ne “La critica d’arte”, Firenze, Vallecchi, 1954; numeri 1 (Introibo, pp. 1-18), 2 (Leonardo, Verrocchio e il «Battesimo» degli Uffizi, pp. 102-118), 4 (Ancora Botticelli, pp. 302-329). Vedi particolarmente i numeri 2-3.
(23) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e angelo recante grano ed uva (Madonna dell’Eucarestia) (tempera su tavola, cm. 85x64,5); Boston, Isabella Stewart Gardner Museum.
(24) GIORGIO VASARI, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori; vol. III, parte II, 1568; ediz. Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1963, vol. III, p. 387.
(25) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e S. Giovannino (Madonna del roseto) (tempera su tavola, cm. 93x69). Parigi, Louvre.
(26) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e otto angeli (Tondo Raczinsky) (tempera su tavola, diametro cm. 135); Berlino, Staatliche Museen.
(27) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e cinque angeli (Madonna del Magnificat) (tempera su tavola, diametro cm. 118); Firenze, Galleria degli Uffizi.
(28) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino e sei angeli (Madonna della melagrana) (tempera su tavola, diametro cm. 143,5); Firenze, Galleria degli Uffizi.
(29) Sandro Botticelli, Madonna col Bambino in trono tra quattro angeli e i SS. Caterina d’Alessandria, Agostino, Barnaba, Giovanni Battista, Ignazio e Michele (tempera su tela, cm. 268x280), scomparto centrale della Pala di S. Barnaba; Firenze, Galleria degli Uffizi.
(30) FRANCESCO ALBERTINI, Memoriale di molte statue et picture sono nella inclyta cipta di Florentia; Firenze, 1510, e 1863 (a cura di Milanesi e Guasti).
(31) GIORGIO VASARI, op. cit., vol. III, p. 391.
(32) Lorenzo Ghiberti, Il battesimo di Cristo (formella in ottone dorato, altezza cm. 79); Siena, Battistero.
(33) Piero della Francesca, Il battesimo di Cristo (tempera su tavola, cm. 167x116); Londra, National Gallery.(34) Dal Codice Atlantico, 310. Leggilo in LEONARDO DA VINCI, Scritti (a cura di Carlo Vecce); Milano, Mursia, 1992, p. 104.
["Commentari d'Arte", Roma, De Luca Editore, anno XII, numeri 33-35, gennaio-dicembre 2006, pp. 53-57]
1 commento:
veramente utile il Suo articolo; La ringrazio per le precisazioni sull'opera di Guillame de Marcillat nel Duomo di Arezzo. Sono solo un semplice estimatore di Leonardo Da vinci, Maestro e della Scuola di Raffaello Sanzio, Maestro.
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